Il Sole 24 Ore di qualche giorno fa, titola entusiasticamente: “Svolta dopo 12 anni di ritardi: la PA ora paga le imprese entro 30 giorni”.
Che dire? Dev’essere successo in una Repubblica parallela, una sorta di “PA di Narnia”, dove i funzionari lavorano col cronometro in mano, i protocolli volano digitalmente da un ufficio all’altro, e i mandati di pagamento escono puntuali come gli stipendi dei parlamentari.
Peccato che nel mondo reale – quello delle imprese, dei cantieri e dei creditori lasciati appesi – i famosi 30 giorni siano ancora una leggenda metropolitana.
Nel Paese in cui rappresentiamo migliaia di imprenditori edili, il tempo medio reale di pagamento della Pubblica Amministrazione spesso:
• supera i 90 giorni, se va bene,
• si avvicina ai 180, se c’è di mezzo qualche ente locale in difficoltà,
• sfiora i 12 mesi, se il pagamento è legato a fondi PNRR, certificazioni, validazioni, riti arcaici o autorizzazioni incrociate tra enti che si parlano tramite piccioni viaggiatori.
Altro che svolta. Questa è una svolta comunicativa, non operativa. Un titolo da campagna elettorale, non da rendiconto pubblico.
Se davvero la PA avesse iniziato a pagare in 30 giorni, noi imprese ce ne saremmo accorti:
• non saremmo costretti a finanziare lo Stato lavorando a credito;
• non vedremmo fallire ogni anno centinaia di imprese sane strangolate da ritardi nei pagamenti.
Sarà anche vero che qualche media nazionale ha letto un dato aggregato ottimistico di Eurostat o di qualche osservatorio ministeriale. Ma noi, che i cantieri li apriamo davvero, sappiamo bene dove finisce la narrazione e inizia la realtà.
Lo Stato che paga in 30 giorni? Come la burocrazia semplice: nessuno l’ha mai vista.
Attendiamo con ansia che qualcuno ci presenti questo miracolo.
Nel frattempo, torniamo a sollecitare, protocollare, diffidare. E, ovviamente, a lavorare. Nonostante tutto.
Antonio Lombardi
Presidente nazionale Federcepicostruzioni