venerdì 19 Aprile 2024
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In Campania 374 mila edifici a rischio idrogeologico. FederCepi: subito un progetto di “rottamazione”

Quasi 374 mila edifici in Campania (per la precisione 373.813) sorgono in zone a rischio idrogeologico per frana o allagamenti. È il dato, allarmante, che emerge dagli ultimi rilaventi dell’ISPRA, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. Il pericolo investe oltre un milione e 300 mila cittadini (1.309.103) dei quali oltre 440mila in zone classificate addirittura a rischio “molto elevato” o “elevato”.
«Sono dati allarmanti – dichiara il presidente nazionale di FederCepi Costruzioni, Antonio Lombardiche non possono essere riproposti solo in occasione di drammi e sciagure. In Campania occorre una piano straordinario per la messa in sicurezza del territorio, che comprenda non solo il consolidamento e il riassetto idrogeologico, ma anche la liberazione degli edifici che insistono in aree a rischio. Ci vuole coraggio: promuoviamo un programma straordinario di rottamazione che consenta a chi vive nelle zone ad elevato rischio di “rottamare” gli edifici per realizzarne di nuovi in zone sicure. È possibile se si rende lo strumento realmente appetibile; è possibile se si intercettano le enormi risorse finanziarie già disponibili, ma che oggi, troppo spesso, non vengono sfruttate in assenza di progettazione esecutiva. È stato dimostrato che, per ogni euro investito nella prevenzione delle alluvioni, se ne risparmiano circa sei, necessari per la riparazione dei danni conseguenti alla mancata prevenzione. Occorre quindi trovare il coraggio per uscire da questo assurdo circolo vizioso per cui non investe sulla prevenzione, non si interviene per la messa in sicurezza del territorio, ma si pagano poi somme sei volte superiori per rimediare ai danni dei disastri naturali. Col cambiamento climatico i rischi aumentano. Occorre agire e subito».

IL RISCHIO FRANA

La Campania è la quinta regione in Italia per popolazione che vive in aree a rischio: 1.169.932, pari al 20,3% del totale dei residenti. Una percentuale elevatissima, se si considera che il dato nazionale non arriva al 10% (9,6%).
L’analisi ISPRA su scala provinciale del rischio è limitata soltanto ai due livelli più elevati: P4 (molto elevato) e P3 (elevato): se ne ricava che le aree con maggior numero di residenti esposti si trovano ad Avellino (10,8%) e Benevento (9,8%). Tutte le province della Campania registrano però una percentuale di residenti a rischio – o meglio a rischio particolarmente elevato – al di sopra della media nazionale.

 Sono più di 337 mila gli edifici (337.093) che in Campania sorgono su aree a rischio frana: il 32% del totale, un dato – anche in questo caso – sensibilmente superiore alla media nazionale (13%). Tra le 5 province, la situazione decisamente più preoccupante si registra nell’Avellinese (sove sono 19.373 edifici gli edifici in zone a rischio elevato o molto elevato, il 13,1% del totale) e nel Salernitano (32.199, il 12,8% del totale).

IL RISCHIO ALLUVIONI

Non meno preoccupanti sono i dati relativi alla c.d. “pericolosità idraulica” vale a dire connessi ad alluvioni ed esondazioni di varia natura. In Campania il 2,4% della popolazione residente (quasi 140 mila persone) è esposta a questa tipologia di rischio. Un dato leggermente inferiore rispetto alla media nazionale: su scala provinciale, le situazioni più problematiche si riscontrano in provincia di Caserta e di Avellino.

Il patrimonio immobiliare “a rischio” comprende oltre 36 mila edifici, il 3,5% del totale, un dato più o meno in linea con quello nazionale, anche in questo caso con una situazione particolarmente allarmante in provincia di Caserta, dove il pericolo investe oltre 18mila edifici, l’8,6% del totale.

LA PROPOSTA

La situazione purtroppo peggiora di anno in anno, ed esondazioni, frane e smottamenti sono purtroppo sempre più all’ordine del giorno. «Non sempre è colpa dei cambiamenti climatici – commenta il presidente di FederCepi Costruzioni, Antonio Lombarditrascuratezza e inefficienza della classe politica hanno una pesante incidenza, così come l’aggressione selvaggia del territorio e l’abusivismo. Oggi occorrono terapie d’urto per mettere in sicurezza il territorio, laddove possibile, ma è urgente anche liberare le aree più esposte, per evitare danni ingenti e, soprattutto, perdite di vite umane. Occorre immaginare e realizzare un Piano per la “rottamazione” degli edifici che insistono sulle aree a pericolosità più elevata; un programma che, attraverso un efficiente utilizzo di risorse europee ma anche un raccordo con strumenti finanziari e fiscali già esistenti, renda davvero appetibile la delocalizzazione. Occorre coinvolgere anche il sistema bancario, con programmi di finanziamento specifici e competitivi, e forme di premialità fiscale che arrivino fino alla esenzione totale dei tributi per cinque o dieci anni, per quanti decideranno di abbandonare le zone rosse. Occorre liberare le zone pericole e mettere città e paesi in sicurezza: non può e non deve essere un problema di costi e finanziamenti. Rimediare ai danni legati al dissesto idrogeologico costa al nostro Paese, in media, quasi un miliardo l’anno: rimanere inefficienti, quindi, ha un costo sensibilmente superiore: senza considerare il “costo” sociale in termini di vite umane, dell’inefficienza, dei ritardi e della mancata messa in sicurezza».

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