domenica 13 Luglio 2025
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Dazi USA al 30%: l’Italia deve trattare da sola per difendere le sue imprese

L’annuncio degli Stati Uniti di applicare dazi del 30% su tutte le merci europee a partire dal 1° agosto 2025 rappresenta un fatto gravissimo, che rischia di colpire duramente l’economia italiana, già provata da mesi di rallentamento del ciclo industriale. La misura, voluta dall’Amministrazione americana, è solo l’ultima manifestazione di una nuova stagione di protezionismo globale, in cui ogni potenza difende i propri interessi strategici con tempismo e decisione.
In questo contesto, l’Italia non può restare ferma. Non può attendere i tempi lunghi di una risposta europea che, per struttura e modalità decisionali, si dimostra ancora una volta troppo lenta e priva di incisività. Serve un’iniziativa nazionale, urgente e concreta: avviare una trattativa bilaterale diretta tra Governo italiano e Governo degli Stati Uniti, per ottenere esenzioni o condizioni di favore per i settori produttivi più esposti.
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I comparti strategici del nostro export subiranno impatti pesantissimi se non si interverrà subito:
• Automotive: una city car italiana prodotta a Mirafiori e venduta oggi negli USA a 35.000 dollari, con un dazio del 30%, diventerà automaticamente fuori mercato. Altri Paesi come la Corea del Sud, grazie ad accordi bilaterali, continueranno a vendere a dazio zero.
• Agroalimentare: il settore simbolo del Made in Italy subirà un colpo durissimo. Il dazio del 30% trasformerebbe molti prodotti italiani in beni di lusso, fuori dalla portata della grande distribuzione americana: Parmigiano Reggiano, Olio extravergine d’oliva, Vini (Chianti, Prosecco, Barolo), Pasta, ecc.
Il risultato? Una perdita diretta per migliaia di PMI agricole, consorzi, trasformatori e distributori, e un guadagno immediato per i competitor esteri che trattano direttamente con Washington.
• Macchinari industriali: torni, presse e CNC prodotti in Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, subiranno un sovrapprezzo doganale che li renderà meno competitivi rispetto alle macchine giapponesi, coreane o americane prodotte in Messico.
• Aerospaziale: aziende italiane, come Leonardo e decine di subfornitori specializzati, che producono componenti per Boeing e contractor USA, vedrebbero penalizzate le proprie commesse a causa dei rincari dovuti all’applicazione dei dazi.
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Di fronte a questa escalation commerciale, l’Italia deve attivare con urgenza una propria linea diplomatica. La nostra rete consolare, le camere di commercio bilaterali, gli addetti commerciali nelle ambasciate, i legami storici con il mondo produttivo statunitense sono strumenti già operativi e collaudati: vanno utilizzati senza attendere il via libera di Bruxelles.
Trattare bilateralmente non significa infrangere i trattati europei. Significa sfruttare i margini di flessibilità già previsti, come altri Paesi membri hanno fatto in passato. La Germania ha negoziato a parte su auto ed energia; la Francia ha ottenuto tutele per il suo export agricolo; la Spagna ha condotto iniziative autonome sul fronte mediterraneo. L’Italia può e deve fare lo stesso.
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La realtà è che 27 Paesi non possono parlare con una sola voce credibile in campo commerciale, quando i loro interessi sono profondamente diversi.
• La Germania protegge il suo export verso la Cina e l’industria automobilistica.
• La Francia blocca accordi commerciali per difendere l’agricoltura interna.
• I Paesi dell’Est fanno leva su manodopera a basso costo e partnership extra-UE.
Un’unica linea comune, fondata su compromessi, è troppo debole per tutelare l’industria italiana, basata su valore aggiunto manifatturiero, filiere complesse e marchi storici. E questo vale soprattutto in tempi di crisi e di cambiamento degli equilibri internazionali.
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Una diplomazia economica autonoma può puntare a:
• Esenzioni su beni strategici nazionali, in cambio di concessioni mirate;
• Riconoscimento del valore industriale delle forniture italiane nei settori difesa, energia, meccanica, moda e alimentare;
• Utilizzo della leva degli acquisti italiani in LNG, tecnologia, software per ottenere reciprocità;
• Protezione immediata dei settori più esposti, in attesa di un’eventuale risposta europea unitaria.
Modelli già esistono: Svizzera, Norvegia e Regno Unito – pur in forme diverse – negoziano con maggiore libertà e spesso con maggiore efficacia rispetto agli Stati membri vincolati da una procedura comunitaria unica e rigida.
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Trattare bilateralmente non è un atto di rottura, ma di responsabilità. Non si tratta di mettere in discussione l’Unione Europea, ma di rifiutare l’illusione di un’Europa che protegge tutti allo stesso modo, quando la realtà dimostra il contrario.
La vecchia CEE funzionava perché era flessibile: un mercato comune, con libertà di circolazione delle merci e cooperazione economica, ma con sovranità nazionale sulle politiche industriali e commerciali. Tornare a uno schema simile – moderno, dinamico, rispettoso delle diversità – è oggi l’unica via per salvare l’economia reale.
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Federcepicostruzioni chiede al Governo italiano di:
• Avviare immediatamente un tavolo bilaterale con gli Stati Uniti per ottenere deroghe ai dazi su settori chiave;
• Coinvolgere le rappresentanze delle imprese nelle strategie di negoziazione internazionale;
• Elaborare una strategia commerciale nazionale, parallela a quella europea, nei casi in cui l’interesse italiano richieda interventi rapidi.
L’Italia ha la capacità, le relazioni e gli strumenti per trattare. Ora deve trovare la volontà politica di farlo.

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