venerdì 26 Aprile 2024
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Da domani smetteremo di lavorare per pagare le tasse. Almeno per quest’anno

Oggi è il penultimo giorno dell’anno in cui si lavora per il fisco. Lo afferma l’Ufficio studi della Cgia, secondo cui in linea puramente teorica, domani i contribuenti italiani terminano di pagare le tasse, le imposte, i tributi e i contributi sociali necessari per far funzionare le scuole, gli ospedali, i trasporti, per pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici, le pensioni.
Giovedì 8 giugno si festeggia il “giorno di liberazione fiscale”, il tax freedom day: se dall’inizio di gennaio al 7 giugno si è lavorato per onorare le richieste del fisco, dal giorno successivo e fino al prossimo 31 dicembre, invece, lo si fa per se stessi e per le proprie famiglie.
Dallo studio della Cgia emerge che per l’anno in corso sono stati necessari ben 158 giorni di lavoro (sabati e domeniche inclusi) per adempiere a tutti i versamenti fiscali previsti quest’anno (Irpef, Imu, Iva, Irap, Ires, addizionali varie, contributi previdenziali/assicurativi). Rispetto al 2022, il tax freedom day di quest’anno “cade” un giorno prima.
L’ufficio studi spiega come è giunto a stabilire che l’8 giugno è il “giorno di liberazione fiscale” del 2023: la stima del Pil nazionale prevista quest’anno (2.018.045 milioni di euro) è stata suddivisa per 365 giorni, ottenendo così un dato medio giornaliero (5.528,9 milioni di euro).
Sono state quindi “recuperate” le previsioni di gettito delle imposte, delle tasse e dei contributi sociali che i percettori di reddito verseranno quest’anno (874.132 milioni di euro) e sono state rapportate al Pil giornaliero.
Dal 1995, la data del “giorno di liberazione fiscale” meno in là nel calendario si è verificata nel 2005. In quell’occasione, la pressione fiscale si attestò al 39 per cento e ai contribuenti italiani “basto'” raggiungere il 23 maggio (142 giorni lavorativi) per lasciarsi alle spalle l’impegno economico richiesto dal fisco.
Osservando sempre il calendario, quello più in “ritardo”, invece, si è registrato nel 2022, allorché la pressione fiscale ha raggiunto il record storico del 43,5 per cento e, di conseguenza, il “giorno di liberazione fiscale” è “scoccato” il 9 giugno.
Cgia precisa che il picco record di pressione fiscale toccato l’anno scorso non è ascrivibile a un aumento del prelievo imposto a famiglie e imprese, ma da una serie di altri fattori che si sono concentrati nel 2022. In particolar modo: dall’impennata del costo dei prodotti energetici importati e dal deciso aumento dell’inflazione che hanno spinto all’insù il gettito dell’Iva; dall’incremento dell’occupazione che ha contribuito ad aumentare le imposte dirette e i contributi previdenziali.
Contemporaneamente le risorse per finanziare i bonus edilizi e i crediti di imposta, questi ultimi introdotti per mitigare il caro bollette, sono state classificate come maggiore spesa pubblica e non come minori entrate.

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