martedì 23 Aprile 2024
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Imprese in concordato in bianco: sentenza della Corte Ue sull’esclusione dalle gare

L’articolo 45, paragrafo 2, primo comma, lettera b), della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che consente di escludere da una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico un operatore economico che, alla data della decisione di esclusione, ha presentato un ricorso per essere ammesso al concordato preventivo, riservandosi di presentare un piano che prevede la prosecuzione dell’attività”.
Lo ha dichiarato la Corte di giustizia europea con la sentenza del 28 marzo 2019, causa C 101/18.
Con questa sentenza la Corte Ue ha deciso in merito ad una questione rimessa dal Consiglio di Stato (con ordinanza 2 febbraio 2018, n. 686) ed ha ritenuto compatibile con il diritto dell’Unione il potere delle Amministrazioni aggiudicatrici di escludere dalla procedura di gara le imprese che abbiano presentato domanda di concordato preventivo “in bianco”.
La vicenda coinvolge quegli operatori economici che, in stato di crisi o di insolvenza, propongano al Tribunale fallimentare istanza di accesso al concordato “in bianco”, oggi disciplinato dall’art. 161 della Legge Fallimentare e confermato anche dal recente Codice delle crisi d’impresa (d.lgs. n. 14/2019, art. 44).
Si tratta di una peculiare tipologia di concordato preventivo, caratterizzata da una notevole semplificazione procedurale: la domanda di accesso alla procedura non dev’essere immediatamente corredata dal “piano di rientro” dall’esposizione debitoria e dalla proposta per i creditori, ma questi ultimi documenti (pur sempre necessari) possono essere presentati anche successivamente, entro “un termine fissato dal giudice, compreso fra sessanta e centoventi giorni e prorogabile, in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni” (così l’art. 161, comma 6°, Legge Fallimentare).
L’istituto, consentendo al debitore di presentare il solo ricorso contenente la domanda per l’ammissione al concordato preventivo al manifestarsi dei primi segnali di criticità finanziaria e soltanto successivamente di predisporre e depositare il piano e la proposta, mira a far emergere tempestivamente lo stato di crisi.
La questione in esame, seppur relativa ad un vicenda soggetta al Codice dei contratti previgente, è comunque d’interesse anche in relazione alla disciplina attuale, che sostanzialmente riproduce la vecchia normativa che dispone l’esclusione della ricorrente.
Ambedue le disposizioni, infatti, escludono dalle gare gli operatori economici che si trovino in stato di fallimento, liquidazione coatta, concordato preventivo, nonché, con formulazione poco chiara, quelli “nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni”, oltre a consentire la partecipazione ai soli soggetti che abbiano avuto accesso al concordato con continuità aziendale.
La mancata menzione espressa del concordato “in bianco”, unita all’ambiguità dell’inciso evidenziato, avevano portato alla formazione di divergenti orientamenti in seno alla giurisprudenza amministrativa.
Da un lato, infatti, vi era chi riteneva che la presentazione di un concordato “in bianco” consentisse, comunque, all’impresa di partecipare alla gara (Consiglio di Stato, sez. III,. 4 dicembre 2015, n. 5519; determinazione ANAC 8 aprile 2015, n. 5); dall’altro lato, invece, si situava chi proponeva un’interpretazione restrittiva (cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. IV, 3 luglio 2014, n. 3344; TAR Lazio, Roma, sez. I, 12 marzo 2015, n. 4068), secondo cui la mera presentazione di domanda di concordato “in bianco” avrebbe determinato ex se un’incapacità a contrarre con la Pubblica Amministrazione, ostando alla partecipazione a nuovi affidamenti.
Il casus decisus trae origine da una bando, pubblicato nel 2013 e diretto all’assegnazione di un appalto di servizi, indetto dall’Arcadis. Da tale procedura, la RTI di cui l’attuale ricorrente era mandataria, risultava esclusa dopo aver ottenuto l’aggiudicazione provvisoria (alla procedura in argomento, infatti, si applicava il d.lgs. n. 163/2006).
L’esclusione era stata disposta a seguito della presentazione, da parte della mandante della RTI aggiudicataria, di domanda “in bianco” di accesso al concordato preventivo, ed era stata motivata dalla Stazione appaltante nel senso che, in forza della prevalente interpretazione preclusiva del d.lgs. n. 163/2006, la presentazione di una domanda di accesso al concordato preventivo ostasse alla partecipazione a una procedura di aggiudicazione, a meno che il debitore non intendesse accedere ad un concordato cd “con continuità aziendale”, presentando immediatamente un piano che prevedesse nel dettaglio le modalità di prosecuzione dell’attività.
In seguito, il TAR Campania aveva respinto il ricorso per annullamento proposto dall’IDI s.r.l. avverso il provvedimento di esclusione, confermando la decisione della Stazione appaltante.
L’impresa ricorrente ha poi impugnato tale decisione innanzi al Consiglio di Stato, che, pur rilevando come l’esclusione in parola fosse conforme alla propria giurisprudenza, ha espresso, del pari, perplessità quanto alla conformità di una siffatta giurisprudenza con la disciplina comunitaria – segnatamente, con l’articolo 45, paragrafo 2, primo comma, lettere a) e b), della direttiva 2004/18 – poiché, secondo quest’ultima, qualora un operatore economico chieda l’ammissione a un concordato “in bianco”, si ritiene che la procedura sia “aperta” a partire dalla presentazione del ricorso.
Pertanto, il Consiglio di Stato si è chiesto se la normativa predetta dovesse essere interpretata nel senso di includere la situazione di un operatore economico che avesse presentato un ricorso per l’ammissione al procedimento di concordato “in bianco”.
Il Supremo Consesso, dunque, ha effettuato rinvio pregiudiziale alla CGUE, sottoponendole le seguenti questioni pregiudiziali:
– se sia compatibile con la Direttiva menzionata la qualificazione di “procedimento in corso” attribuibile alla situazione di presentazione di mera istanza di concordato preventivo da parte del debitore;
– conseguentemente, se sia comunitariamente legittimo considerare quale causa di esclusione la presentazione di istanza di concordato preventivo “in bianco”, dal momento che questa equivale alla confessione del debitore di trovarsi in stato di insolvenza.
I giudici comunitari, in primo luogo, rilevano che una differenziazione di trattamento tra gli operatori economici che accedano al concordato preventivo “ordinario” e quelli che presentino un piano di continuità aziendale non contrasta con la giurisprudenza comunitaria pregressa.
Infatti, osserva la Corte, la normativa comunitaria richiamata (direttiva 2004/18, par. 2, art. 45) non impone un’uniformità di applicazione delle cause di esclusione che esso prevede a livello dell’Unione, cosicché gli Stati membri “hanno la facoltà di non applicare affatto tali cause di esclusione o di inserirle nella normativa nazionale con un grado di rigore che potrebbe variare a seconda dei casi”.
Tuttavia, scelte legislative simili, che attenuino il tenore della disciplina comunitaria, consentendo la partecipazione anche a soggetti in crisi conclamata, devono trovare fondamento in motivazioni di ordine giuridico, economico o sociale, variabili a livello nazionale.
Per la Corte, infatti, se è vero che, da un lato, gli Stati membri hanno, in linea di massima, il potere di attenuare o di rendere più flessibili i criteri stabiliti dalla normativa comunitaria, ovvero di non applicarli affatto con la conseguenza che non sarebbe astrattamente anticomunitaria una legislazione nazionale che consenta l’ammissione a nuove gare anche alle imprese che richiedano di accedere al concordato preventivo, dall’altro lato, tuttavia, per i Giudici comunitari può essere ritenuta legittima anche una diversa opzione, più aderente alle tendenze restrittive di parte della giurisprudenza amministrativa.
Difatti, anche una disciplina nazionale che commini l’espressa esclusione dalle gare agli operatori che presentino domanda di concordato soltanto “in bianco” e consenta, invece, la partecipazione ai soli soggetti che ricorrano a quello con continuità aziendale, non è comunitariamente incompatibile.
Tale possibilità trova fondamento, ad avviso della Corte, innanzitutto, nell’estensione del dettato comunitario, che lascia del tutto impregiudicata l’adozione di una normativa nazionale restrittiva. Ma v’è di più: la Corte europea osserva che una simile opzione sarebbe giustificabile anche in base al principio di uguaglianza nella procedura di aggiudicazione. Principio, questo, da interpretare in senso sostanziale: parità di trattamento in situazioni eguali; diversificazione, in presenza di situazioni non assimilabili.
Pertanto, in presenza di presupposti oggettivamente differenziati, l’esclusione dei concorrenti che intendano accedere al concordato “in bianco” è pienamente ragionevole.
La diversità dei presupposti, come evidenzia la stessa Corte, è integrata dal diverso grado di affidabilità del contraente, obiettivamente apprezzabile: la situazione di un operatore economico che – proponendo domanda “in bianco” – non s’impegna a proseguire la sua attività già alla data in cui la decisione di esclusione è adottata “non è paragonabile, con riguardo alla sua affidabilità economica, alla situazione di un operatore economico che s’impegna a tale data a proseguire la propria attività economica”.
In sostanza, secondo la Corte, chi, immediatamente, predispone misure idonee a superare uno stato di difficoltà finanziaria, puntando sin da subito a continuare l’attività d’impresa, rappresenta per l’Amministrazione un contraente ben più affidabile di chi, al contrario, proponga domanda giudiziale a fini esclusivamente prenotativi – come accade nel caso di concordato “in bianco” –, proponendosi di individuare soltanto successivamente le più opportune strategie, così mostrando, peraltro, uno stato di crisi più serio e preoccupante, che mal si accorderebbe con l’interesse pubblico sotteso all’affidamento.
La Corte di Giustizia, dunque, conclude affermando definitivamente che la normativa comunitaria deve essere interpretata “nel senso che essa non osta a una normativa nazionale (…) che consente di escludere da una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico un operatore economico che, alla data della decisione di esclusione, ha presentato un ricorso al fine di essere ammesso al concordato preventivo, riservandosi di presentare un piano che prevede la prosecuzione dell’attività”.
Tuttavia, precisa la Corte, ai sensi delle norme comunitarie, non sarebbe astrattamente illegittima neppure l’opzione contraria, ossia quella di “non escludere” dalle procedure le imprese che accedano a tale beneficio, lasciando una sostanziale libertà normativa al legislatore nazionale.

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